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Attraverso la fotografia e le immagini in movimento, l'immaginario di Giacomo Infantino prende forma e accenna, decostruisce, rigenera e genera miti e mitologia che sono circondati da uno scenario naturale e apparentemente senza tempo. La luce ha un ruolo fondamentale nelle sue visioni. Non è la luce del sole, è quella che appartiene al buio. Questo tipo di luce ci permette di vedere il buio, di guardarlo negli occhi. Nonostante ci appaia attraverso colori acidi ed elettrici dalla forma artificiale, ci suggerisce un dubbio ontologico sulla natura della sua fonte.

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L’espressionismo segna un momento di forte rottura rispetto ai canoni realistici. La deformazione predomina su tutti i livelli: dalla scenografia alla recitazione, alla costruzione dell’immaginario.

Le luci sono usate in modo non naturalistico, creando toni cupi e minacciosi. Spesso alcune parti della scena rimangono in ombra, quasi a nascondere alla vista una parte del mondo rappresentato, creando un’atmosfera di mistero e inquietudine e contribuendo ad allontanare da una mera rappresentazione del reale

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Tunisi, 8.06.2013 è un’indagine visiva sul processo di produzione, diffusione e condivisione delle immagini nei paesi coinvolti dalle rivolte arabe. Il progetto nasce come ricerca sulle possibilità di utilizzare il materiale fotografico, in qualità di mezzo e soggetto allo stesso tempo, per rappresentare e raccontare l’evoluzione di questo processo. Utilizzando la luce che retroillumina gli schermi di cellulari e smartphone Di Noto ha proiettato sulla carta fotografica le immagini scattate e salvate dalle persone che hanno vissuto e documentato questi eventi. Il risultato appare come un lungo rotolo costellato di piccole fotografie che, risaltando luminose sullo sfondo nero della carta, disegnano una sorta di mappa, un’ipotetica visione satellitare del paese.

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Federica Landi

Paul Virilio nella sua “estetica della scomparsa” parla del paradosso dell'assimilazione e immagazzinamento delle informazioni alla velocità richiesta dai media e dello stato di coscienza schizofrenico che questo produce. Partendo da queste considerazioni Landi indaga il concetto di vista, ostruzione, cecità e sparizione. Lavora con il gruppo di ragazze africane respinte dagli abitanti di Goro e Gorino nell'ottobre 2016 che hanno subito un travolgente circo mediatico.

L'installazione si compone di sei dispositivi composti da ritratti fotografici, luci e superfici specchianti. I ritratti delle ragazze sono installati in modo tale che il pubblico non possa mai guardarli direttamente poiché una forte fonte di luce colpisce i loro occhi. 

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Amy Friend usa la fotografia come mezzo esplorando la relazione tra ciò che è visibile e non visibile. Attraverso interventi a mano altera e successivamente rifotografa le immagini “ricostruendo” fotografie che oscillano tra il presente e l'assente. A commento della fragile qualità dell'oggetto fotografico ma anche della fragilità delle nostre vite, della nostra storia. Utilizzando strategie fotografiche, Friend “ricrea” la luce, lasciandola risplendere attraverso piccoli fori. In modo giocoso e tuttavia letterale, restituisce i soggetti delle fotografie alla luce. La luce diventa una presenza reale e insieme metaforica, consentendo nuove letture. 

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