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A Franco Vaccari, 

visionario artista e presumo simpatico

 

Oggi nei chiostri francescani Franco Vaccari ha raccontato la sua opera in relazione all’oggetto libro. 

Ero emozionata, a dir poco. Essere in prossimità di un’artista tanto geniale, fonte di innumerevoli ispirazioni. Come ha premesso Luca Panaro, un nuovo fenomeno - nell’arte come nella vita - viene interpretato necessariamente utilizzando parametri previi, e quindi, in qualche misura, obsoleti. Qualcosa di nuovo è qualcosa dentro cui non ci può essere pensiero critico, se non a posteriori. Vaccari ha anticipato così tante tendenze contemporanee da poter essere considerato veggente. 

Del suo lungo discorso sono rimaste alcune perle preziose. Il suo grande amore per l’arte contemporanea e per il cinema delle origini (il che potrebbe sembrare un paradosso, a me pare estremamente coerente con il personaggio); l’attenzione e la com-passione che concede ad ogni fruitore delle sue opere; e infine l’opera realizzata per la città di Carpi, dal titolo In palmo di mano

 

Per chi non lo conoscesse, Franco Vaccari è celebre soprattutto per le brevettate esposizioni in tempo reale. In che cosa consistono? Nell’idea di far sì che il momento di fruizione dell’opera e il momento di creazione/costruzione combacino. Nella sua esposizione-performance-happening (che ci ha svelato essere quella che l’ha fatto scoprire da Renato Barilli) Viaggio + Rito, lui viaggiava da Modena a Bologna sul treno, accompagnato da due fotografi che, muniti di polaroid, documentavano il suo viaggio. Una volta arrivati, le polaroid del viaggio venivano esposte in galleria, assieme al biglietto del treno che lo stesso Vaccari riponeva in una scatola di legno. Non esisteva alcun progetto, non esisteva nemmeno l’opera, il viaggio era l’opera stessa. E per non farsi mancare nulla, a fine vernissage Franco Vaccari riprendeva dalla scatola di legno il biglietto del treno, perché - come ci tiene a precisare - era un biglietto andata e ritorno. 

 

Oggi sentivo come i suoi riferimenti e citazioni facevano vibrare le corde dei miei pensieri, perché gli stessi nomi e titoli sono stati per me linfa vitale e spinta al fare artistico. Sorpresa è stato l’utilizzo che ha fatto della parola “sacrificio” parlando dell’Esposizione in tempo reale realizzata per la Biennale di Venezia del 1972. Quell’anno il suo lavoro consistette nel posizionare una semplice macchina per fototessere in una stanza, sulle cui pareti, in quattro lingue, faceva scrivere “Lascia una traccia fotografica del tuo passaggio”. Ho sempre trovato di estrema poesia questa frase. La parola “traccia” collegata a quella di “fotografia”. La fotografia ha un rapporto intimo con la realtà, eppure spesso ce ne dimentichiamo poiché l’apparato tecnologico ci distrae. La fotografia permette di lasciare tracce di vita, tracce di identità, tracce del nostro passaggio sulla terra. Tracce della nostra storia individuale. La parola “passaggio” sottolinea invece il carattere transitorio delle nostre esistenze. L’impermanenza delle nostre vite, cui la fotografia pone rimedio solo in parte (se mai fosse necessario un rimedio). Siccome i fruitori coinvolti alla Biennale furono costretti a pagare la loro fototessera (a normale prezzo dell’epoca) era richiesto ad ognuno un piccolo “sacrificio”, parola che Vaccari usa nel significato etimologico di rendere sacro un gesto, un’azione, attraverso un piccolo sforzo (in questo caso collettivo). Se quelle fototessere fossero state gratuite, l’intera opera avrebbe perso di potenza e di valore. Come ha sottolineato Panaro, caratteristica essenziale dell’opera di Vaccari è il suo essersi sempre messo “a livello” delle persone, molti metri sotto il grande Olimpo in cui risiede l’artista contemporaneo. 

 

Mi ha estremamente colpita, infine, il valore del suo progetto “In palmo di mano”, realizzato in collaborazione con l’archivio etnologico della città di Carpi. Trovando queste bizzarre immagini di padri che tenevano, appunto, in palmo di mano, come sospese, le loro primogenite femmine con incredibile fierezza, Vaccari ha scavato nella storia culturale di Carpi. Ha così scoperto che la donna in questa piccola cittadina ha sempre avuto un ruolo importante, considerata un dono sin dalla nascita. Lavoratrici in ambito creativo, sorridenti e fiere nelle immagini d’archivio, in questo libro è stata ricostruita la loro identità raccontata attraverso il lavoro e - sorprendendomi non poco - attraverso i suoi doni magici. C’è a questo proposito un’approfondita sezione sul ruolo delle guaritrici di campagna, con immagini fotografiche che documentano le azioni che queste donne compievano per attenuare il dolore. Considerate per secoli fattucchiere o addirittura streghe, queste figure oggi avvolte nel mistero hanno ancora molto da dire, e un bellissimo testo ri-edito nel libro accompagna la visione di documenti storici quali le immagini d’archivio. Un lavoro potente oltre ogni misura, fonte di ispirazione e di ammirazione. 

 

Per concludere in stranezza, una bella dedica al libro che ho praticamente strappato dalle mani di Luca Panaro, “A Silvia, bella e presumo simpatica. Franco Vaccari, Ravenna 31 maggio 2015.”

 

Caro Franco, io “presumo” che tu sia di un altro pianeta. Forse è per questo tuo avere trasformato inettitudine in profonda genialità che ti stimo tanto. Grazie. 

 

 

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